Prima Onda Fest mette in risalto la possibilità reale di comunicazione tra le diverse generazioni, nella convinzione che i linguaggi di innovazione e tradizione siano rivolti ad un pubblico eterogeneo e possano interessare tutti nei loro vari livelli di creazione.
Edizione 2021
“I concetti di interdipendenza e di coevoluzione sono chiavi di lettura di queste progettualità: richiamano il rapporto di reciprocità che ci deve essere tra progetto e contesto, di tensioni adattive e sviluppo correlato tra condizioni che non sono né fisse né predefinite. Questo porta a figurare il progetto (artistico) come sistema aperto in cui a ogni stadio, avviene qualcosa che modifica il lavoro previsto”
(Richard Sennet, Costruire e abitare, Feltrinelli, Milano 2020, p. 220)
Performance
E' un'azione scenica, basata sulla purezza dell'improvvisazione, che dura 20' circa e offre in un corpo solo le istantanee di quattro divinità a cui è dato un diverso timbro espressivo: Bacco, Cerere, Eolo, Venere . Il danzatore incarna ciascuna identità in un susseguirsi di dissolvenze tra luce, suono e corpo.
Bacco segue una partitura coreografica frammentata che si espande formando linee di confine disarticolate e policentriche; che rimandano ad antichi retaggi popolari.
Cerere con la sua potenza terrena, carnale e generativa, usa la terra come elemento di fusione e protezione. Madre selvatica che non si lascia persuadere dalla natura umana.
Eolo crea imprevedibili traiettorie che nel fluire costruiscono dinamiche che proiettano il movimento oltre i perimetri.
Venere con la sua polifonia gestuale dichiara con lucidità, il valore del coraggio ed esalta la capacità femminile di autodeterminarsi.
4Canti Cortometraggio
E' un video della durata di 10', che unisce al testo originale di Alessandro Savona, immagini e danza in spazi urbani. Intangibili suggestioni emergono da un sogno giunto con delicata ironia a celebrare la notte. Il protagonista attraversa il silenzio di città che gli è madre.
Moments de vie,
Vie de danse,
Cinquante années.
De musique aussi,
Moins longtemps.
Et le corps, toujours là, présent.
Certes changé.
Toujours il porte danse et joue.
Là où il est.
Il communique. Témoin essentiel du mouvement de vie.
Momento della vita,
Vita danzata,
Cinquanta anni.
Di musica anche.
Da meno tempo.
E il corpo, sempre là, presente.
Certo, cambiato.
Porta sempre danza e gioca.
Là dove è.
Comunica.
Testimone essenziale del movimento di vita
Si tratta di una sorta di trattato alchimistico sonoro nel quale il rapporto tra scrittura e improvvisazione assume paricolare valenza simbolico-musicale.
La coincidentia oppositorum, concetto base della scienza alchemica il cui fine è il superamento della dualità e l'ottenimento dell'oro dei filosofi attraverso la morte e rinascita mistica e psichica, è qui espressa tramite il rapporto tra questi due mezzi creativi.
In chiave psicanalitica (junghiana), infatti, la dualità è data dal rapporto tra conscio e inconscio. In questa prospettiva l’improvvisazione incarna il flusso creativo spontaneo che proviene dall’inconscio mentre la scrittura è intesa quale risultato del processo compositivo razionale ed espressione della coscienza. Queste due forze, nel dipanarsi della narrazione musicale, mutano forma e si confondono continuamente attraverso una simbologia, ora celata ora manifesta, che mira a trasportare l'ascoltatore in una dimensione al contempo profonda ed elevata, alla ricerca di una spiritualità antica e senza tempo.
Il concerto vedrà inoltre momenti di improvvisazione radicale e l'esecuzione di altre composizioni del flautista palermitano che si integreranno con il materiale musicale di Chemica Sonora Symbolica ulteriormente trasformato in maniera estemporanea convergendo in un flusso sonoro frutto di un fare empirico di natura simile a quello realizzato dall'alchimista nel suo laboratorium.
I racconti del Baal Shem Tov e dei Rebbe dello Chassidismo, le storie dei Sufi e le poesie di Jalal al-Din Rumi, gli indovinelli dello Zen e le parabole di Jesù nei Vangeli Apocrifi serviranno per provare ad illustrare e spiegare aspetti, comportamenti e situazioni del mondo del Teatro e dei suoi protagonisti.
“Che c’entra la Mistica col Teatro?”, è la domanda che risuona il questa conferenza-spettacolo.
Il progetto si sviluppa attraverso un periodo di residenza e incontro con donne over 60 del territorio coinvolto, che vogliono confrontarsi con un'esperienza comunitaria, sperimentando il movimento attraverso un'espressione libera e creativa con il proprio corpo. Ciò consentirà loro di acquisire un approccio più profondo con sé stesse e con gli altri attraverso la danza, riconoscendosi in un gruppo, in un luogo e in un contesto particolare. Il progetto nasce nel 2011 in occasione della “Giornata Internazionale della Danza” presso il Museo Civico di Bassano del Grappa, per poi proseguire in diverse città italiane ed estere.
Al termine dei vari laboratori, le donne coinvolte hanno deciso di proseguire il progetto:
A Bologna nel 2013 si sono organizzate per autofinanziare una residenza.
A Montorso Vicentino nel 2013 hanno chiesto al Comune fondi per sostenere il progetto.
Danza, libertà, identità, esperienza e comunità sono le parole chiave di questo workshop: attraverso l'atto di realizzare un momento di aggregazione si favorisce l'inclusione sociale nell'area che ospita il laboratorio creando relazioni tra le persone. Partendo da semplici movimenti il coreografo crea uno spazio in cui tutti i partecipanti si sentono protagonisti e possono esprimere il proprio potenziale creativo. La loro età matura significa un'eredità di esperienze di vita, background personali, che il coreografo cerca di portare fuori, mantenendo allo stesso tempo un tono giocoso.
Ogni donna diventa una Dea, perché può divertirsi e intrattenersi, essere in contatto profondo con il proprio corpo e creare con il gruppo la forza che solo le donne possono esprimere, soprattutto dopo i 60 anni.
Il giudice: “Signor P, questa corte le attribuisce le accuse suddette e le domanda: come si dichiara l’imputato?”
Pinocchio: “Innocente, Vostro Onore! Ho poi... avrei anche una richiesta: vorrei giustappunto tornare burattino!”
“Di conseguenza Vostro Onore, approfitterei dell’udienza per chiedere di tornar allo stato naturale delle cose, ché, senza offender nessuno voler, da essere umano proprio non mi trovo. Poiché da burattin mai nessuno mi disse che divenir bambin significasse crescer, diventare ometto, uomo, vecchio poi morire. Ma la morte niente poi sarebbe, se non fosse che nel bel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai a dover lavorar per campare e la via della felicità s’è smarrita!
Quindi, a prescindere da quel che sarà la sentenza, vi dico che questo vostro viver si chiama sopravvivenza. Preferisco faticar per uscir da una balena, che non per esser libero un sol giorno a settimana, ché non mi bastan 4 giorni al mese per vivere la vita, quindi la lascerei a voi questa fatica e non perché sia tipo da battere la fiacca, no, ma stavo meglio col cappio al collo che col nodo di cravatta. Se non dispiace Vostro onore tornerei alle mie peripezie, piuttosto il paese dei balocchi, ma non quello delle lotterie!
Quanto alle accuse, tutto iniziò così... C’era una volta... No! C’era una notte...”
Un corpo che danza che occupa spazi pieni e vuoti, che si relaziona con le sue curve e le sue “parti molli”: l’imperfezione che diventa normalità, la propria fisicità come superficie di un mondo interiore. “A corpo libero” di Silvia Gribaudi è uno spettacolo dissacrante portato in spazi urbani, grido di rivolta di una donna che cerca la libertà.
Ashti Abdo, cantante, musicista polistrumentista e compositore curdo propone un concerto che intreccia la tradizione musicale di suoni e trame tipiche del Medio Oriente con elementi ritmici melodici e popolari del sud Italia, riscoprendo così una matrice unica fatta di sincretismo e fusioni mediterranee.
Da bambino impara le ninne nanne tradizionali curde cantando alla sorella e a suonare il tipico strumento curdo, il tembûr (saz), dal 2004 in italia approfondisce lo studio del mandolino e delle percussioni.
Un'esplorazione sonora in cui conduce l'ascoltatore in labirinti di armonie ipnotiche e sperimentali attraverso l'utilizzo di strumentazione elettronica.
“sensibilità” ed “energia”. Questo non aiuta a circoscrivere il campo d'azione dell’attore e ad individuare gli strumenti specifici del suo lavoro: anche il musicista, il danzatore o il pittore debbono possedere sensibilità ed energia.
Tutto ciò genera in molti attori la sensazione frustrante di procedere alla cieca, senza avere una “bussola” su cui orientare tecnicamente il proprio lavoro. Attraverso improvvisazioni, esercizi e giochi, i partecipanti prenderanno coscienza del proprio personale e unico strumento e del modo in cui questo giustifica, incarna e fa “accadere” l'evento del teatro. L'attore è sia strumento che strumentista, è insieme il creatore e il materiale stesso della propria creazione.
Il laboratorio porrà l'attenzione sugli strumenti fondamentali dell’arte dell’attore: il proprio corpo, la propria voce, lo spazio fisico in cui si agisce e la capacità “schizofrenica” di guardarsi da fuori per sorvegliare l'efficacia e la coerenza del proprio racconto scenico.
Ogni vero attore è per forza di cose anche un autore. Su questi fondamenti si eserciteranno i partecipanti, prima analizzandoli separatamente e poi nella loro interrelazione scenica: il lavoro sulla voce naturale, non accademicamente impostata, con lo studio del parametro della proiezione attraverso la recitazione in coro; attraverso improvvisazioni guidate e la composizione di brevi scene mute i partecipanti impareranno a percepire e a leggere, “dal punto di vista del pubblico”, le linee di forza drammaturgiche che si generano tra gli attori in base al semplice posizionamento del loro corpo nello spazio scenico e alla direzione dei loro sguardi; infine apprenderanno a costruire un racconto scenico efficace e coerente.
Il laboratorio non fornirà tecniche, trucchi o stili di recitazioni prefissati, ma intende portare gli allievi a confrontarsi con le questioni fondamentali della recitazione, in modo che ognuno sia in grado di produrre le proprie personali risposte.
Prendendo spunto da questo pensiero, racconteremo a un pubblico disposto a mettersi in viaggio con noi, non solo l’Ulisse dantesco ma l’archetipo che esso rappresenta: il viaggiatore indomito, l’uomo spregiudicato e l’uno, il nessuno e i centomila frammenti che lo compongono. Partiremo dal centro storico di Palermo, da quella piazza Bologni in cui si erge la statua di Carlo V, l’imperatore che si vantò di aver superato quelle colonne d’Ercole oltre le quali proprio Ulisse incontrò invece la morte. Il progresso di cui si vanta l’Uomo infatti è direttamente proporzionale ai limiti sempre maggiori che si propone di superare, ma qual è il confine tra evoluzione e involuzione? In questo viaggio come dei Dante e Virgilio contemporanei ci addentreremo in una Palermo che apparirà nuova perché simbolica e che rivelerà inaspettate prospettive al di là del tempo e dello spazio. Interrogandoci sul nostro passato, analizzando il presente potremo così farci delle domande che riguardano il nostro futuro.
Ora, diciannove attrici, ognuna nella propria regione, solo con un piccolo patrimonio di sassi, la raccontano alle nuove generazioni, che a loro volta la racconteranno ad altri.
Parole e Sassi è un Racconto-Laboratorio e ha un allestimento semplice e scarno, fatto di parole e sassi. Si compone di due parti inscindibili e necessarie l’una all’altra: il Racconto e il Laboratorio.
Nel Racconto la Narratrice racconta la storia di Antigone. Tutto si compie come in un rito, attraverso un testo accompagnato dall’uso di sassi-personaggio e una partitura gestuale fissa. Un rettangolo, segnato da una traccia rossa sul pavimento, delimita lo spazio della scena. Per fare teatro non è indispensabile che ci sia un palco, ma necessaria è la relazione circolare tra attore e pubblico.
Il Laboratorio è una sorta di “seconda navigazione poetica” dove le parti s’invertono: ora è il pubblico ad agire, a parlare, ora sono i bambini, prima egregi uditori, ad usare i sassi per raccontare come e in che parte di loro si è rifugiato il tragico di questa grande storia. Ora è il pubblico a costruire metafore teatrali e tutto avviene all’interno della classe.
Il tempo, coefficiente su cui si fa strada il pensiero e la forma creativa. Il tempo che impone una riflessione perché qualcosa è accaduto, siamo stati costretti a fermarci ma non a smettere di pensare. Ripercorrere questo tempo di restrizioni e differenze attraverso la relazione “over e under”. Far sostare il pensiero sulla linea di confine e capire di quali fattori si nutrono nell’adiacenza, nella prossimità e quale spazio tattile si può azzardare nel futuro.
Particolarmente cruciale appare la questione sulla funzione che hanno oggi le generazioni over 50 nel mondo artistico. Insegnanti, coreografi, registi, drammaturghi, musicisti, compositori che si sono dedicati al sapere artistico attraverso la ricerca, ed hanno sperimentato modelli artistici, generato correnti, movimenti politici, tecniche.
Le attuali generazioni hanno assorbito e riconoscono questo investimento che ha generato varianti, differenze, nuovi impulsi? Quali forme si sono delineate dall’incontro generazionale e che valore esse rivestono oggi in tempo di pandemia?
La dimensione della ricerca come è agita nell’aspetto artistico (legato ai processi, ai contesti, al prodotto) dalle generazioni di corpi che si sono incontrate e continuano ad incontrarsi?
Quali messaggi veicola in tempo di pandemia il corpo inteso come forma agente, contenitore e generatore di esperienza?
La velocità, l’approfondimento, la flessibilità che oggi sono richieste alle nuove generazioni sono in contrasto con i parametri su cui la ricerca ha fondato il suo status dal ’900 ad oggi?
L’aspetto scientifico della ricerca come studio è in conflitto con la dimensione pulsionale del fare artistico?
Come si legano i racconti generazionali in una storia condivisa?
Si parla di giovani o di anziani ma non di persone, forse si dovrebbe rimodulare la dialettica che fa fare sistema al mondo istituzionale in cui le priorità dei sostegni rischiano di mettere da parte la memoria storica ed artistica.
Come mettere insieme in un dialogo di reciprocità le differenti generazioni dei corpi?
Quale ricaduta ha questo rapporto nel sistema culturale ed istituzionale?
La questione del vissuto del corpo verrà affrontata mettendone particolarmente in rilievo tanto le implicazioni estetologiche che derivano dal considerare l’agire del corpo nell’ambiente, quanto le implicazioni legate a una pedagogia dell’arte.
Il corpo umano si trova per così dire doppiamente esposto nel suo fare esperienza dell’ambiente e nel suo essere parte di quell’ambiente e del divenire del mondo vivente; lo sperimentare corporeo si configura per un verso come “agire espressivo”, come creazione continua di forme (forme del movimento, forme dell’interazione, forme consolidate come istituzioni e spazi dell’agire condiviso), e per l’altro come “pathos”, cioè come impatto emotivo dell’altro e dell’ambiente sul vissuto, dunque come scoperta di una “passività”, come sperimentazione di una ineludibile esposizione alla trasformazione e al divenire.
Non ha l’arroganza di uno spettacolo bensì la forza espressiva e la potenzialità di un atto artistico che tiene conto dei sui limiti.
L’opera di Sofocle ha agito come motore per la creazione di una scrittura originale di un’opera multidisciplinare in cui ogni partecipante ha potuto mettere in campo la propria vocazione senza limiti di tempo e costrizioni didattiche. Una produzione del Teatro Libero di Palermo, curata dalle compagnie Civilleri Lo Sicco e Scenica Frammenti, che hanno messo a disposizione la propria ricerca a sostegno del percorso di un gruppo di giovani. L’azione scenica si concentrerà sulla costruzione delle condizioni ambientali, sonore e tematiche della nuova scrittura drammaturgica. Le parole di Sofocle insieme ai personaggi sono chiamati a processo e riformulati per segnare le traiettorie che li conducono fino a noi.
Tutto ha inizio con la morte di Achille, il grande guerriero. È con la sua morte che si mette in discussione il fondamento dell’intera civiltà greca. La tradizione, la figura stessa dell’eroe.
Sulle orme dell’autore greco questa riscrittura dell’Aiace conduce ad un eroe contemporaneo fragile, vittima di una catena di errori, aggiogato al giudizio degli altri, bullizzato per quello che ha commesso, per mezzo e opera della grande Dea: la Rete.
Una scrittura scenica basata su una liturgia atea della morte e del dolore, un rito collettivo sul destino a cui sembra destinata un’intera generazione. La visione consapevole da parte di giovani a cui è ormai imposta una vita smart, scissi tra un’identità reale e una virtuale, quest’ultima sempre più forte e predominante. Il nostro desiderio è accompagnare lo spettatore alla consapevolezza del filo tragico che conduce l’esistenza dei giovani di questo tempo, alle prese con problematiche enormi, che spesso non si conoscono o non si ascoltano.
In questa edizione di Collinarea, portiamo in scena lo spettacolo completo, avendo lavorato da ottobre 2020 ad ora al secondo atto, ovvero l’epilogo, di Essere (NON) Essere.
Si tratta di un evento che speciale, per tanti motivi, primo su tutti la storia che ha questo gruppo, composto in gran parte da ragazzi che hanno iniziato la scuola teatro di Scenica Frammenti da bambini e oggi sono nel mondo da adulti.
Inutile scrivere una presentazione dello spettacolo, perché sarebbe un ripetersi di quanto appena scritto, perché lo spettatore assiste alla messa in scena di tanti IO, forse un unico io, frammentato, come puzzle capace di comporsi in un’unica straordinaria immagine: il gruppo. O forse è meglio chiamarla “Compagnia”.
"11.000 metri quadrati di convenienza o almeno così dice la pubblicità.”
Iperdark è il racconto di uomo in fuga. Corsia dopo corsia, metri su metri, scelta dopo scelta, cercherà di venire fuori da quella situazione paradossale ma dovrà tornare indietro, ricominciare, tornare all’origine, a quel peccato, a quell’atto di rivolta contro le urlacce del mondo.
Il lavoro trae linfa da una serie di interviste a persone che subirono quei giorni del maggio ‘43, e ne uscirono miracolosamente illese. Dalla loro narrazione e dai frammenti di memoria raccolti principia l’elaborazione drammaturgica, che scompone e intreccia e rielabora queste testimonianze, per poi incastonarle in un’unica storia. Erano tempi cupi, in cui necessario era ingegnarsi per riuscire a sopravvivere. Erano tempi atroci, in cui la morte cadeva inattesa dall’alto o dal basso dei mercati neri, che stritolavano con prezzi schizzati alle stelle. Erano tempi malati e bugiardi, tempi cinici e bari. Assomigliano ad oggi.
La scelta del trio è quella di suonare una musica nello “sconosciuto” nel “quì ed ora” con un desiderio di libertà creativa e al contempo di contributo e condivisione. C’è la capacità di essere inclusivi con l’ambiente, con gli altri, attraverso il viaggio sonoro. Una ricerca di strategie di bellezza, di ritualità e creazione “antica”… L’improvvisazione estemporanea è il nucleo centrale del progetto. Calogero Genco al sassofono Alfredo Giammanco all’elettronica, Domenico Sabella alla batteria provengono da ambiti musicali eterogenei, riescono a mescolare e contaminare i propri suoni, abbattendo le barriere degli stili musicali, intercettando sensibilmente e spiritualmente paesaggi sonori immaginari e spontanei, intersecando melodie e cellule ritmiche con grande spirito di reciprocità. Nell’ intimo dei suoni mille universi splendono.
Lo spettacolo prende spunto da un fatto di cronaca: un ragazzino del Mali, recuperato in mare dopo il naufragio del 18 aprile 2015, è stato trovato con una pagella cucita all’interno della propria giacca. Allo stesso modo, in Shuma, un bambino cade in mare e tra le bolle invoca aiuto come fosse una preghiera. In compagnia di un cavalluccio marino intraprende il lungo percorso verso il SopraSopra, allegoria delle rotte dei migranti.
Tra mille peripezie ed incontri leggendari il bambino affronterà anche un viaggio interiore che farà sorgere in lui un dubbio atavico: andare o restare?
Shuma vuole ridare dignità a un essere umano morto e rimasto senza nome che si somma alle migliaia di vite perse aspiranti al diritto di stare meglio.
Ci chiede, andando dritto al cuore, di assumerci una responsabilità collettiva rispetto all’attualità e al mondo che ci circonda, invitandoci a reggere il peso della storia contemporanea in quanto individui facenti parte di una comunità.