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Edizione 2021

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Prima Onda Fest mette in risalto la possibilità reale di comunicazione tra le diverse generazioni, nella convinzione che i linguaggi di innovazione e tradizione siano rivolti ad un pubblico eterogeneo e possano interessare tutti nei loro vari livelli di creazione.

“I concetti di interdipendenza e di coevoluzione sono chiavi di lettura di queste progettualità: richiamano il rapporto di reciprocità che ci deve essere tra progetto e contesto, di tensioni adattive e sviluppo correlato tra condizioni che non sono né fisse né predefinite. Questo porta a figurare il progetto (artistico) come sistema aperto in cui a ogni stadio, avviene qualcosa che modifica il lavoro previsto”

(Richard Sennet, Costruire e abitare, Feltrinelli, Milano 2020, p. 220)

Performance

Pindoc

4Canti

4Canti Live performance
E' un'azione scenica, basata sulla purezza dell'improvvisazione, che dura 20' circa e offre in un corpo solo le istantanee di quattro divinità a cui è dato un diverso timbro espressivo: Bacco, Cerere, Eolo, Venere . Il danzatore incarna ciascuna identità in un susseguirsi di dissolvenze tra luce, suono e corpo.
Bacco segue una partitura coreografica frammentata che si espande formando linee di confine disarticolate e policentriche; che rimandano ad antichi retaggi popolari.
Cerere con la sua potenza terrena, carnale e generativa, usa la terra come elemento di fusione e protezione. Madre selvatica che non si lascia persuadere dalla natura umana.
Eolo crea imprevedibili traiettorie che nel fluire costruiscono dinamiche che proiettano il movimento oltre i perimetri.
Venere con la sua polifonia gestuale dichiara con lucidità, il valore del coraggio ed esalta la capacità femminile di autodeterminarsi.

4Canti Cortometraggio
E' un video della durata di 10', che unisce al testo originale di Alessandro Savona, immagini e danza in spazi urbani. Intangibili suggestioni emergono da un sogno giunto con delicata ironia a celebrare la notte. Il protagonista attraversa il silenzio di città che gli è madre.

Sutta Scupa

Antigone Screaming

Antigone Screaming affronta la tragedia di Sofocle da un punto di vista periferico e marginale. Si intende infatti focalizzare l’attenzione sui due fratelli fratricidi(Eteocle e Polinice) e le Guardie che hanno il compito di sorvegliare il corpo esanime di Polinice da eventuali tentativi di dare a esso degna sepoltura. Le Guardie saranno interpretato da un coro di donne. Punti fondamentali della ricerca sono dunque la morte(in particolare i riti funebri) e la condizione femminile. Le parole di Sofocle potrebbero allora forse risuonare mentre l’orizzonte si riempie di uccelli saprofagi: “Molte meraviglie vi sono al mondo, ma nessuna meraviglia è pari all’uomo. Da Ade soltanto non troverà scampo”.
Geneviève Sorin

De l’un à l’autre

De l’un à l’autre
Moments de vie,
Vie de danse,
Cinquante années.
De musique aussi,
Moins longtemps.
Et le corps, toujours là, présent.
Certes changé.
Toujours il porte danse et joue.
Là où il est.
Il communique.
Témoin essentiel du mouvement de vie.

Momento della vita,
Vita danzata,
Cinquanta anni.
Di musica anche.
Da meno tempo.
E il corpo, sempre là, presente.
Certo, cambiato.
Porta sempre danza e gioca.
Là dove è.
Comunica.
Testimone essenziale del movimento di vita

Benedetto Basile

Flauto Elettronics

Il concerto proposto dal flautista e compositore Benedetto Basile prende le mosse dal suo ultimo lavoro intitolato Chemica Sonora Symbolica, pubblicato recentemente dall'etichetta Da Vinci Publishing.
Si tratta di una sorta di trattato alchimistico sonoro nel quale il rapporto tra scrittura e improvvisazione assume paricolare valenza simbolico-musicale.
La coincidentia oppositorum, concetto base della scienza alchemica il cui fine è il superamento della dualità e l'ottenimento dell'oro dei filosofi attraverso la morte e rinascita mistica e psichica, è qui espressa tramite il rapporto tra questi due mezzi creativi.
In chiave psicanalitica (junghiana), infatti, la dualità è data dal rapporto tra conscio e inconscio. In questa prospettiva l’improvvisazione incarna il flusso creativo spontaneo che proviene dall’inconscio mentre la scrittura è intesa quale risultato del processo compositivo razionale ed espressione della coscienza. Queste due forze, nel dipanarsi della narrazione musicale, mutano forma e si confondono continuamente attraverso una simbologia, ora celata ora manifesta, che mira a trasportare l'ascoltatore in una dimensione al contempo profonda ed elevata, alla ricerca di una spiritualità antica e senza tempo.
Il concerto vedrà inoltre momenti di improvvisazione radicale e l'esecuzione di altre composizioni del flautista palermitano che si integreranno con il materiale musicale di Chemica Sonora Symbolica ulteriormente trasformato in maniera estemporanea convergendo in un flusso sonoro frutto di un fare empirico di natura simile a quello realizzato dall'alchimista nel suo laboratorium.
Massimiliano Civica

L’Angelo e la Mosca

Racconti, facezie e buffi indovinelli sono sempre stati utilizzati dai grandi Maestri dell’Occidente e dell’Oriente per “contrabbandare” insegnamenti profondi, per aprire il cuore degli uomini ad una comprensione più elevata della realtà, per svelare ciò che c’è oltre il nostro abituale modo di vedere le cose.
I racconti del Baal Shem Tov e dei Rebbe dello Chassidismo, le storie dei Sufi e le poesie di Jalal al-Din Rumi, gli indovinelli dello Zen e le parabole di Jesù nei Vangeli Apocrifi serviranno per provare ad illustrare e spiegare aspetti, comportamenti e situazioni del mondo del Teatro e dei suoi protagonisti.
“Che c’entra la Mistica col Teatro?”, è la domanda che risuona il questa conferenza-spettacolo.
Silvia Gribaudi

Over 60 Project

C'è confusione intorno all’arte dell’attore. Sembra che tutto si riduca a due concetti tanto diffusi quanto generici: “sensibilità” ed “energia”. Non c'è niente di male nel dire che un attore debba avere sensibilità ed energia, ma questo non aiuta a circoscrivere il suo campo d'azione ed ad individuare gli strumenti specifici del suo lavoro: anche il musicista, il danzatore o il pittore debbono possedere sensibilità ed energia. Tutto ciò genera in molti attori la sensazione frustrante di procedere alla cieca, senza avere una “bussola” su cui orientare tecnicamente il proprio lavoro.
Il progetto si sviluppa attraverso un periodo di residenza e incontro con donne over 60 del territorio coinvolto, che vogliono confrontarsi con un'esperienza comunitaria, sperimentando il movimento attraverso un'espressione libera e creativa con il proprio corpo. Ciò consentirà loro di acquisire un approccio più profondo con sé stesse e con gli altri attraverso la danza, riconoscendosi in un gruppo, in un luogo e in un contesto particolare. Il progetto nasce nel 2011 in occasione della “Giornata Internazionale della Danza” presso il Museo Civico di Bassano del Grappa, per poi proseguire in diverse città italiane ed estere.
Al termine dei vari laboratori, le donne coinvolte hanno deciso di proseguire il progetto:
A Bologna nel 2013 si sono organizzate per autofinanziare una residenza.
A Montorso Vicentino nel 2013 hanno chiesto al Comune fondi per sostenere il progetto.
Danza, libertà, identità, esperienza e comunità sono le parole chiave di questo workshop: attraverso l'atto di realizzare un momento di aggregazione si favorisce l'inclusione sociale nell'area che ospita il laboratorio creando relazioni tra le persone. Partendo da semplici movimenti il coreografo crea uno spazio in cui tutti i partecipanti si sentono protagonisti e possono esprimere il proprio potenziale creativo. La loro età matura significa un'eredità di esperienze di vita, background personali, che il coreografo cerca di portare fuori, mantenendo allo stesso tempo un tono giocoso.
Ogni donna diventa una Dea, perché può divertirsi e intrattenersi, essere in contatto profondo con il proprio corpo e creare con il gruppo la forza che solo le donne possono esprimere, soprattutto dopo i 60 anni.
Simone Perinelli

Requiem for Pinocchio

Un processo
Il giudice: “Signor P, questa corte le attribuisce le accuse suddette e le domanda: come si dichiara l’imputato?”
Pinocchio: “Innocente, Vostro Onore! Ho poi... avrei anche una richiesta: vorrei giustappunto tornare burattino!”
“Di conseguenza Vostro Onore, approfitterei dell’udienza per chiedere di tornar allo stato naturale delle cose, ché, senza offender nessuno voler, da essere umano proprio non mi trovo. Poiché da burattin mai nessuno mi disse che divenir bambin significasse crescer, diventare ometto, uomo, vecchio poi morire. Ma la morte niente poi sarebbe, se non fosse che nel bel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai a dover lavorar per campare e la via della felicità s’è smarrita!
Quindi, a prescindere da quel che sarà la sentenza, vi dico che questo vostro viver si chiama sopravvivenza. Preferisco faticar per uscir da una balena, che non per esser libero un sol giorno a settimana, ché non mi bastan 4 giorni al mese per vivere la vita, quindi la lascerei a voi questa fatica e non perché sia tipo da battere la fiacca, no, ma stavo meglio col cappio al collo che col nodo di cravatta. Se non dispiace Vostro onore tornerei alle mie peripezie, piuttosto il paese dei balocchi, ma non quello delle lotterie!
Quanto alle accuse, tutto iniziò così... C’era una volta... No! C’era una notte...”
Silvia Gribaudi

A corpo libero

A corpo libero è un lavoro che ironizza sulla condizione femminile a partire dalla gioiosa fluidità del corpo, esplorando da un punto di vista drammaturgico un tempo di inadeguatezza, un tempo di onnipotenza e un tempo di accettazione in una contaminazione di tecniche espressive.
Un corpo che danza che occupa spazi pieni e vuoti, che si relaziona con le sue curve e le sue “parti molli”: l’imperfezione che diventa normalità, la propria fisicità come superficie di un mondo interiore. “A corpo libero” di Silvia Gribaudi è uno spettacolo dissacrante portato in spazi urbani, grido di rivolta di una donna che cerca la libertà.
Ashti Abdo

Awazên Kurdî

un viaggio attraverso la musica del Kurdistan e i racconti di questa terra.

Ashti Abdo, cantante, musicista polistrumentista e compositore curdo propone un concerto che intreccia la tradizione musicale di suoni e trame tipiche del Medio Oriente con elementi ritmici melodici e popolari del sud Italia, riscoprendo così una matrice unica fatta di sincretismo e fusioni mediterranee.
Da bambino impara le ninne nanne tradizionali curde cantando alla sorella e a suonare il tipico strumento curdo, il tembûr (saz), dal 2004 in italia approfondisce lo studio del mandolino e delle percussioni.
Un'esplorazione sonora in cui conduce l'ascoltatore in labirinti di armonie ipnotiche e sperimentali attraverso l'utilizzo di strumentazione elettronica.

Ferran Joanmiquel

El rey del Gurugù

Marley es un perro vagabundo adoptado por Abdul, uno de los inmigrantes subsaharianos que malviven en el Monte Gurugú, muy cerca de Melilla, esperando que les llegue la hora de saltar la valla y entrar en Europa. Marley llega al campamento, llamado El pequeño Bamako, y descubre que le han adoptado como perro guardián, para que les alerte de los ataques de la policía marroquí, muy frecuentes en el Gurugú. Y entonces Marley se da cuenta de que sirve para algo, que puede ser imprescindible, que puede tener un hogar y crear vínculos con esta especie de Ulises del siglo XXI, que se desviven por llegar a la tierra prometida que tanto han soñado. El rey del Gurugú es la narración del drama de la inmigración visto por un perro, una mirada a la vez lúcida y desconcertada.
Massimiliano Civica

Il mestiere dell’attore

C'è confusione intorno all’arte dell’attore. Sembra che tutto si riduca a due concetti tanto diffusi quanto generici:
“sensibilità” ed “energia”. Questo non aiuta a circoscrivere il campo d'azione dell’attore e ad individuare gli strumenti specifici del suo lavoro: anche il musicista, il danzatore o il pittore debbono possedere sensibilità ed energia.
Tutto ciò genera in molti attori la sensazione frustrante di procedere alla cieca, senza avere una “bussola” su cui orientare tecnicamente il proprio lavoro. Attraverso improvvisazioni, esercizi e giochi, i partecipanti prenderanno coscienza del proprio personale e unico strumento e del modo in cui questo giustifica, incarna e fa “accadere” l'evento del teatro. L'attore è sia strumento che strumentista, è insieme il creatore e il materiale stesso della propria creazione.
Il laboratorio porrà l'attenzione sugli strumenti fondamentali dell’arte dell’attore: il proprio corpo, la propria voce, lo spazio fisico in cui si agisce e la capacità “schizofrenica” di guardarsi da fuori per sorvegliare l'efficacia e la coerenza del proprio racconto scenico.
Ogni vero attore è per forza di cose anche un autore. Su questi fondamenti si eserciteranno i partecipanti, prima analizzandoli separatamente e poi nella loro interrelazione scenica: il lavoro sulla voce naturale, non accademicamente impostata, con lo studio del parametro della proiezione attraverso la recitazione in coro; attraverso improvvisazioni guidate e la composizione di brevi scene mute i partecipanti impareranno a percepire e a leggere, “dal punto di vista del pubblico”, le linee di forza drammaturgiche che si generano tra gli attori in base al semplice posizionamento del loro corpo nello spazio scenico e alla direzione dei loro sguardi; infine apprenderanno a costruire un racconto scenico efficace e coerente.
Il laboratorio non fornirà tecniche, trucchi o stili di recitazioni prefissati, ma intende portare gli allievi a confrontarsi con le questioni fondamentali della recitazione, in modo che ognuno sia in grado di produrre le proprie personali risposte.
Ugo Giacomazzi e Camillo Palmeri

L’incanto di Ulisse

Nell’anno dedicato alla celebrazione di Dante Alighieri per il 700simo anniversario della sua morte, l’Ulisse del XXIII canto dell’Inferno viene scelto come personaggio ideale per affrontare un viaggio che ripone nella forza dell’utopia velleità e speranze di conquista. L’Uomo deve alla sua sete di conoscenza le grandi scoperte del progresso filosofico e tecnologico ma quando si oltrepassa il confine dell’Etica si rischia di sovvertire le leggi che regolano il rapporto con la Natura. A questo punto, che sia chiamata Dio o tsunami, proprio la Natura conquistata riassesta il suo equilibrio con la potenza che spesso non le riconosciamo e ci ricorda che di ubris si può morire.
Prendendo spunto da questo pensiero, racconteremo a un pubblico disposto a mettersi in viaggio con noi, non solo l’Ulisse dantesco ma l’archetipo che esso rappresenta: il viaggiatore indomito, l’uomo spregiudicato e l’uno, il nessuno e i centomila frammenti che lo compongono. Partiremo dal centro storico di Palermo, da quella piazza Bologni in cui si erge la statua di Carlo V, l’imperatore che si vantò di aver superato quelle colonne d’Ercole oltre le quali proprio Ulisse incontrò invece la morte. Il progresso di cui si vanta l’Uomo infatti è direttamente proporzionale ai limiti sempre maggiori che si propone di superare, ma qual è il confine tra evoluzione e involuzione? In questo viaggio come dei Dante e Virgilio contemporanei ci addentreremo in una Palermo che apparirà nuova perché simbolica e che rivelerà inaspettate prospettive al di là del tempo e dello spazio. Interrogandoci sul nostro passato, analizzando il presente potremo così farci delle domande che riguardano il nostro futuro.
Collettivo Progetto Antigone

Parole e Sassi

Antigone, antica vicenda di fratelli e sorelle, di patti mancati, di rituali, di leggi non scritte e di ciechi indovini, è stata narrata nei secoli a partire dal dramma scritto dal poeta greco Sofocle nel 440 a.C.
Ora, diciannove attrici, ognuna nella propria regione, solo con un piccolo patrimonio di sassi, la raccontano alle nuove generazioni, che a loro volta la racconteranno ad altri.

Parole e Sassi è un Racconto-Laboratorio e ha un allestimento semplice e scarno, fatto di parole e sassi. Si compone di due parti inscindibili e necessarie l’una all’altra: il Racconto e il Laboratorio.
Nel Racconto la Narratrice racconta la storia di Antigone. Tutto si compie come in un rito, attraverso un testo accompagnato dall’uso di sassi-personaggio e una partitura gestuale fissa. Un rettangolo, segnato da una traccia rossa sul pavimento, delimita lo spazio della scena. Per fare teatro non è indispensabile che ci sia un palco, ma necessaria è la relazione circolare tra attore e pubblico.
Il Laboratorio è una sorta di “seconda navigazione poetica” dove le parti s’invertono: ora è il pubblico ad agire, a parlare, ora sono i bambini, prima egregi uditori, ad usare i sassi per raccontare come e in che parte di loro si è rifugiato il tragico di questa grande storia. Ora è il pubblico a costruire metafore teatrali e tutto avviene all’interno della classe.

Genìa - DAMS Palermo

Ricerca-azione

Il seminario intende offrire un luogo di incontro tra artisti ed esperti del mondo dello spettacolo, operatori, docenti universitari, per dialogare sui processi ed i contesti che si sviluppano in ambito creativo. Si propone in questo senso come un momento di riflessione a seguito della pandemia che ha fatto emergere degli spunti su cui dibattere come quelli relativi all’incontro generazionale dei corpi, al modo in cui gli artisti pensano e trascorrono il tempo.
Il tempo, coefficiente su cui si fa strada il pensiero e la forma creativa. Il tempo che impone una riflessione perché qualcosa è accaduto, siamo stati costretti a fermarci ma non a smettere di pensare. Ripercorrere questo tempo di restrizioni e differenze attraverso la relazione “over e under”. Far sostare il pensiero sulla linea di confine e capire di quali fattori si nutrono nell’adiacenza, nella prossimità e quale spazio tattile si può azzardare nel futuro.
Particolarmente cruciale appare la questione sulla funzione che hanno oggi le generazioni over 50 nel mondo artistico. Insegnanti, coreografi, registi, drammaturghi, musicisti, compositori che si sono dedicati al sapere artistico attraverso la ricerca, ed hanno sperimentato modelli artistici, generato correnti, movimenti politici, tecniche.
Le attuali generazioni hanno assorbito e riconoscono questo investimento che ha generato varianti, differenze, nuovi impulsi? Quali forme si sono delineate dall’incontro generazionale e che valore esse rivestono oggi in tempo di pandemia?
La dimensione della ricerca come è agita nell’aspetto artistico (legato ai processi, ai contesti, al prodotto) dalle generazioni di corpi che si sono incontrate e continuano ad incontrarsi?
Quali messaggi veicola in tempo di pandemia il corpo inteso come forma agente, contenitore e generatore di esperienza?
La velocità, l’approfondimento, la flessibilità che oggi sono richieste alle nuove generazioni sono in contrasto con i parametri su cui la ricerca ha fondato il suo status dal ’900 ad oggi?
L’aspetto scientifico della ricerca come studio è in conflitto con la dimensione pulsionale del fare artistico?
Come si legano i racconti generazionali in una storia condivisa?
Si parla di giovani o di anziani ma non di persone, forse si dovrebbe rimodulare la dialettica che fa fare sistema al mondo istituzionale in cui le priorità dei sostegni rischiano di mettere da parte la memoria storica ed artistica.
Come mettere insieme in un dialogo di reciprocità le differenti generazioni dei corpi?
Quale ricaduta ha questo rapporto nel sistema culturale ed istituzionale?
La questione del vissuto del corpo verrà affrontata mettendone particolarmente in rilievo tanto le implicazioni estetologiche che derivano dal considerare l’agire del corpo nell’ambiente, quanto le implicazioni legate a una pedagogia dell’arte.
Il corpo umano si trova per così dire doppiamente esposto nel suo fare esperienza dell’ambiente e nel suo essere parte di quell’ambiente e del divenire del mondo vivente; lo sperimentare corporeo si configura per un verso come “agire espressivo”, come creazione continua di forme (forme del movimento, forme dell’interazione, forme consolidate come istituzioni e spazi dell’agire condiviso), e per l’altro come “pathos”, cioè come impatto emotivo dell’altro e dell’ambiente sul vissuto, dunque come scoperta di una “passività”, come sperimentazione di una ineludibile esposizione alla trasformazione e al divenire.
Civilleri / Lo Sicco

Aiace Under 20

Aiace è il frutto dell’unione di due laboratori di ricerca artistica dedicati ai giovani: FUORICLASSE e SCENICA YOUNG.

Non ha l’arroganza di uno spettacolo bensì la forza espressiva e la potenzialità di un atto artistico che tiene conto dei sui limiti.
L’opera di Sofocle ha agito come motore per la creazione di una scrittura originale di un’opera multidisciplinare in cui ogni partecipante ha potuto mettere in campo la propria vocazione senza limiti di tempo e costrizioni didattiche. Una produzione del Teatro Libero di Palermo, curata dalle compagnie Civilleri Lo Sicco e Scenica Frammenti, che hanno messo a disposizione la propria ricerca a sostegno del percorso di un gruppo di giovani. L’azione scenica si concentrerà sulla costruzione delle condizioni ambientali, sonore e tematiche della nuova scrittura drammaturgica. Le parole di Sofocle insieme ai personaggi sono chiamati a processo e riformulati per segnare le traiettorie che li conducono fino a noi.

Tutto ha inizio con la morte di Achille, il grande guerriero. È con la sua morte che si mette in discussione il fondamento dell’intera civiltà greca. La tradizione, la figura stessa dell’eroe.
Sulle orme dell’autore greco questa riscrittura dell’Aiace conduce ad un eroe contemporaneo fragile, vittima di una catena di errori, aggiogato al giudizio degli altri, bullizzato per quello che ha commesso, per mezzo e opera della grande Dea: la Rete.
Una scrittura scenica basata su una liturgia atea della morte e del dolore, un rito collettivo sul destino a cui sembra destinata un’intera generazione. La visione consapevole da parte di giovani a cui è ormai imposta una vita smart, scissi tra un’identità reale e una virtuale, quest’ultima sempre più forte e predominante. Il nostro desiderio è accompagnare lo spettatore alla consapevolezza del filo tragico che conduce l’esistenza dei giovani di questo tempo, alle prese con problematiche enormi, che spesso non si conoscono o non si ascoltano.

Pindoc

Clorofilla

L’esigenza di sempre è di stare dalla parte del corpo, di ritrovare il linguaggio del corpo, fondarlo dal corpo. Ogni creazione è un nuovo inizio, un nuovo sentore delle cose del mondo e che in realtà ci sfuggono e per questa loro fuga ci muovono, ci interrogano, ci scuotono terribilmente. Ci muoviamo per risolvere un’oscurità d’animo, viverci uno stato del corpo precario. Questa epoca ci regala le sue cecità di senso, le sue accensioni e visioni. Ci si ritrova al limite della loro percezione come in un tempo saturo, in uno spazio pieno. A chi rivolgere la traduzione di una inquietudine pudica e feroce? Per la scena il corpo è abbandonato come una reliquia nella nudità di uno spazio. Gli unici atti possibili sono verso se stessi, nell’attesa e nel bisogno di ritrovare la sacralità di una profonda natura. E’una prima esposizione percettiva. Ne deriva una seconda dove si è mossi da furori interni, animalità sonore, voci esterne. Si è spinti quasi al limite, per ricontattare l’epicità delle proprie forze e la gravità spirituale di un senso ulteriore. L’inquietudine del lavoro si misura nel desiderio e mistero di poter avvertire un indicibile corporeo, un invisibile poetico, qualcosa come un’ombra che sembra costantemente scivolarci accanto densa e silenziosa. L’atto del guardare è l’atto del guardarsi, di portarsi al confine dei sensi e delle visioni e registrarne gli odori.
Progetto Lab SF Under 21

Essere(non)Essere

Nel 2019 abbiamo iniziato un laboratorio di ricerca di dieci mesi il cui tema è l’IO, partendo dal pensiero “La crisi dell’io” di Luigi Pirandello. Il progetto vede coinvolti 17 ragazzi di età compresa tra i 17 e i 21 anni, guidati da Loris Seghizzi.
In questa edizione di Collinarea, portiamo in scena lo spettacolo completo, avendo lavorato da ottobre 2020 ad ora al secondo atto, ovvero l’epilogo, di Essere (NON) Essere.
Si tratta di un evento che speciale, per tanti motivi, primo su tutti la storia che ha questo gruppo, composto in gran parte da ragazzi che hanno iniziato la scuola teatro di Scenica Frammenti da bambini e oggi sono nel mondo da adulti.
Inutile scrivere una presentazione dello spettacolo, perché sarebbe un ripetersi di quanto appena scritto, perché lo spettatore assiste alla messa in scena di tanti IO, forse un unico io, frammentato, come puzzle capace di comporsi in un’unica straordinaria immagine: il gruppo. O forse è meglio chiamarla “Compagnia”.
Frazioni Residue

Iperdark

Un ricordo d’infanzia, un piccolo episodio, un atto di rivolta nei confronti della Famiglia: un peccato di poco conto magari ma che ha segnato la vita di un uomo modificandone la direzione. La colpa lo ha condotto fino a qui, oltre la morte dell’innocenza, nell’istante in cui nasciamo di nuovo per la terza volta e diveniamo adulti. Un uomo qualunque, un vulnerabile inadatto alle mille possibilità della vita, si risveglia in piena notte in una fredda scatola di un frigorifero che non c'è, dentro uno stanzino, nel buio, tra centinaia di volantini del Gigante: il nuovo ipermercato costruito in fonda alla statale, nella periferia di una grande città.
"11.000 metri quadrati di convenienza o almeno così dice la pubblicità.”
Iperdark è il racconto di uomo in fuga. Corsia dopo corsia, metri su metri, scelta dopo scelta, cercherà di venire fuori da quella situazione paradossale ma dovrà tornare indietro, ricominciare, tornare all’origine, a quel peccato, a quell’atto di rivolta contro le urlacce del mondo.
Davide Enia

Maggio 43

Cos’è la notte quando tanto arriva sempre l’urlo della sirena d’allarme per i bombardamenti notturni? Cos’è che non ce la faccio più a mangiare sempre pane nero e allora cerco di pescare le anguille? Cos’è strisciare contro i muri per non farsi vedere dalla milizia fascista? Cos’è cercare l’amuchina al mercato nero? Cos’è che mi servono 1800 lire per le medicine e non so come recuperarle? Cos’è vedere il massacro di Palermo il 9 maggio ’43 e camminarci dentro e non ci sono più le case e nemmeno le strade e non si vede niente che c’è polvere e fumo dappertutto ma comunque quello che vedi nemmanco si riconosce?

Il lavoro trae linfa da una serie di interviste a persone che subirono quei giorni del maggio ‘43, e ne uscirono miracolosamente illese. Dalla loro narrazione e dai frammenti di memoria raccolti principia l’elaborazione drammaturgica, che scompone e intreccia e rielabora queste testimonianze, per poi incastonarle in un’unica storia. Erano tempi cupi, in cui necessario era ingegnarsi per riuscire a sopravvivere. Erano tempi atroci, in cui la morte cadeva inattesa dall’alto o dal basso dei mercati neri, che stritolavano con prezzi schizzati alle stelle. Erano tempi malati e bugiardi, tempi cinici e bari. Assomigliano ad oggi.

Mudita Trio

Pictures

Il termine Mudita deriva dalla tradizione buddista il cui significato è gioire della felicità altrui.
La scelta del trio è quella di suonare una musica nello “sconosciuto” nel “quì ed ora” con un desiderio di libertà creativa e al contempo di contributo e condivisione. C’è la capacità di essere inclusivi con l’ambiente, con gli altri, attraverso il viaggio sonoro. Una ricerca di strategie di bellezza, di ritualità e creazione “antica”… L’improvvisazione estemporanea è il nucleo centrale del progetto. Calogero Genco al sassofono Alfredo Giammanco all’elettronica, Domenico Sabella alla batteria provengono da ambiti musicali eterogenei, riescono a mescolare e contaminare i propri suoni, abbattendo le barriere degli stili musicali, intercettando sensibilmente e spiritualmente paesaggi sonori immaginari e spontanei, intersecando melodie e cellule ritmiche con grande spirito di reciprocità. Nell’ intimo dei suoni mille universi splendono.
Santa Briganti

Shuma

Shuma è una favola ambientata in fondo al mare.
Lo spettacolo prende spunto da un fatto di cronaca: un ragazzino del Mali, recuperato in mare dopo il naufragio del 18 aprile 2015, è stato trovato con una pagella cucita all’interno della propria giacca. Allo stesso modo, in Shuma, un bambino cade in mare e tra le bolle invoca aiuto come fosse una preghiera. In compagnia di un cavalluccio marino intraprende il lungo percorso verso il SopraSopra, allegoria delle rotte dei migranti.
Tra mille peripezie ed incontri leggendari il bambino affronterà anche un viaggio interiore che farà sorgere in lui un dubbio atavico: andare o restare?
Shuma vuole ridare dignità a un essere umano morto e rimasto senza nome che si somma alle migliaia di vite perse aspiranti al diritto di stare meglio.
Ci chiede, andando dritto al cuore, di assumerci una responsabilità collettiva rispetto all’attualità e al mondo che ci circonda, invitandoci a reggere il peso della storia contemporanea in quanto individui facenti parte di una comunità.